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Come inizio a praticare Stregoneria o Magia?

Premesso che espanderemo l’argomento in un podcast, come promesso, vorremmo concederci una riflessione preliminare su alcuni dubbii che tanti ci hanno sottoposto nell’ask che abbiamo aperto su Instagram in questi giorni:
– come inizio praticamente a praticare l’Arte?
– come faccio a iniziare con la sicurezza di non star sbagliando e facendo cose troppo rischiose?
– come faccio a capire cosa posso fare e cosa no?

Secondo noi, tutte queste domande hanno la più semplice (e al contempo più difficile) delle risposte.
Il fondamento della pratica dell’Arte, la costruzione di un percorso individuale, la guida nella comprensione e superamento dei propri limiti, lo stabilire una linea di demarcazione forte fra il fare e il non fare, stanno tutti nella costruzione di un dialogo.
Un dialogo esteriore, con il Divino – ovvero con Divinità, Spiriti, forze personali/impersonali trascendenti a cui ci si riferisce nella pratica dell’Arte.
Un dialogo interiore, con se stessi – affinché, oltre a conoscersi (che non fa mai male), ci si possa rendere strumento della propria stessa Arte e asservirsi a se stessi, per realizzare la propria Volontà.

La costruzione di queste due forme dialogiche non è metaforica e basata sulla riflessione meditativa sul nulla spazio siderale nelle proprie teste: è pratica.

Inizia con l’accettare due aspetti fondamentali dell’Arte:

a) che non esistono gerarchie di tecniche, livelli di difficoltà, avanzamento di classe come si fosse in un gioco di ruolo – è un concetto ereditato dalla società occidentale contemporanea, ricalcato sull’idea che “più alto/più importante/più potente” significa in qualche modo “più retribuito”, e che la New Age ha definitivamente espanso in tutta la spiritualità contemporanea.
Piuttosto esistono esperienze pratiche, eventi vissuti, disciplina costruita nelle piccole cose, che conducono alla comprensione necessaria per acquisire prima dimistichezza, e poi padronanza di strumenti, tecniche, simboli, linguaggio, eventi, presagi, forze naturali e trascendenti, etc. Vivere l’Arte nella sua essenza pratica è un’eterna, enorme, costante, opera di apprendimento e costruzione di abilità e comprensioni che non hanno una gerarchia verticale, ma una orizzontale, e che si integrano per definire quello che una persona sa fare, ha imparato a fare, sta imparando a fare e potrà fare (secondo la direzione scelta).
Non esistono tecniche facili o difficili in assoluto, precluse o suggerite ai neofiti: esiste solo ciò che si è compreso, che si è in grado di produrre, che si padroneggia… e ciò che non si padroneggia, non si può fare perché non calza nel proprio percorso, non si è in grado di produrre. Come per tutte le Arti, si parte dallo studio tecnico e dal “semplice” non perché un neofita “non deve fare questo o quello” in termini di veto sacro, ma perché è necessario costruire la propria abilità pian piano. Allora in genere si scelgono quei rituali con minore impatto psicologico, minore manipolazione del simbolo o linguaggio simbolico essenziale, affinché la persona possa concentrarsi su altri aspetti (tipo la sua capacità di stare nel Rituale ed esserne parte attiva), e costruire la sensibilità necessaria a fare cose man mano più impegnative

b) che l’Arte, nella costruzione del suo dialogo, ha come due termini dell’equazione Uomo e Cosmo, o Uomo e Natura, e in questo rapporto non è la Natura a doversi adeguare all’Uomo, bensì il contrario.
Non è possibile praticare l’Arte al di fuori della Natura: tutto ciò che esiste, viene manipolato come strumento, impiegato come simbolo o ingrediente… è Natura. È quindi necessario comprenderla, nei suoi cicli e nelle sue forze, nelle sue dinamiche di interazione fra le varie parti, e questo non viene fatto con lo studio fine a se stesso: è molto più semplice farlo in maniera esperienziale, accostata a uno studio che abbia come finalità permettere l’approfondimento di ciò che si è esperito.
Questo significa vivere la Natura, riscoprirsene parte attraverso il contatto diretto, indagarla nelle sue molte forme, aperti alla comprensione dei suoi flussi e riflussi. Ciò è tanto più semplice, tanto più si va lontano dai luoghi che più profondamente sono segnati dall’opera umana, che plasma la Natura a suo desiderio (è il carattere specifico, e se volgiamo il ruolo, dell’essere umano quello di essere un ri-plasmatore delle forme della Natura).

Comprese e avviata l’esperienza relativa di queste due cose – iniziando quindi a ragionare l’Arte come un insieme di tecniche, abilità e comprensioni che si integrano fra loro e scardinando l’idea di livelli verticali; e interiorizzato che il segreto è, letteralmente, nell’osservazione e nel contatto con la Natura – allora si può iniziare davvero a pensare di praticare l’Arte.
Dal nostro punto di vista, non è rilevante lo scopo iniziale, né tanto meno cosa si inizia a leggere, quale percorso si ritiene adatto in prima battuta.
Dal nostro punto di vista, si gioca tutto sul modo in cui ai decide di vivere, di cosa si decide di fare esperienza e come: se lo scopo pratico dell’Arte è produrre dei risultati, che siano questi naturali o innaturali, un risultato parallelo di tale produzione è il cambiamento della persona che la pratica. E così deve essere, perché volenti o meno si è parte del Rituale.

Infine, riguardo alla sicurezza che molti, soprattutto neofiti, vanno cercando presso altri – di non star sbagliando, di essere nel giusto, di aver scelto il percorso corretto, di poter fare qualcosa: si tratta, secondo noi, più che altro di una ricerca di rassicurazioni fondata sul riproporsi di un sistema scolastico dove qualcuno con più esperienza è deputato a distribuire voti e giudizi, stabilendo chi è in grado e chi no, e costruendo l’autostima dell’individuo attraverso impulsi esterni alla persona stessa.

Nella spiritualità, e nell’Arte, non è così semplice. Dal nostro punto di vista, l’unico giudice è lo Spirito – lo ripetiamo di continuo.
Le uniche correzioni e giudizi che qualcun altro può fare sulla pratica di una persona sono di tipo tecnico o nozionistico, ma alla fine le cose sono sempre due: il rituale ha funzionato, oppure non ha funzionato.

La stessa necessità di avere rassicurazioni nasconde le insidie principali per le quali, di solito, le cose non funzionano:

a) il dubbio che, come abbiamo spiegato in un paio di post su Instagram, è attivo destrutturatore della forma mentis necessaria alla pratica dell’Arte, cioè quel modo di pensare specifico che non solo adotta un linguaggio simbolico adeguato al Sacro e al Magico, ma porta a interpretare la realtà in chiave Sacra e Magica

b) il finire preda di tutti quegli pseudo-maestri, pseudo-indirizzatori il cui scopo non è portare le persone a fare esperienza pratica dell’Arte o portarle davvero a trovare la propria strada, ma creare uno stuolo di sudditi epe rafforzare il proprio ego e far fronte alle proprie fragilità – e questo sottopone l’interessato a rallentamenti (alla meglio), al finire manipolato e sviato, al rovinarsi la vita, all’interiorizzare un pensiero errato difficile da scardinare (soprattutto perché, di solito, lo pseudo-qualcosa tende a rimuovere la capacità critica delle persone con il giochino del bastone e della carota)

Per questo il modo migliore per trovare rassicurazioni e riconferme è, di nuovo, l’esperienza pratica, lo sviluppo di un modo di vivere in sintonia con le proprie credenze, aspirazioni, percorsi spirituali, e via dicendo.

Costruire un modo di vivere, permette di costruire il proprio carattere, e il proprio carattere permette di costruire sé stessi, i propri risultati, altre sperienze, e il tutto si traduce in capacità di esercitare praticamente l’Arte.

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