La manipolazione del Fuoco e gli insegnamenti del Diabolico
Questo breve articolo nasce come riflessione durante la lettura di Arti del Metallo e Alchimia di Mircea Eliade. Potete trovare l’edizione Italiana qui e quella Inglese qui. Anche se è allettante avere un’edizione italiana del testo, ci sentiamo comunque di suggerirvi quella Inglese, per via dei refusi contenuti nel testo italiano – refusi in alcuni casi di una certa gravità, come quello delle “Donne Agliose” (aged women), se vuoi fare una risata ti consigliamo il nostro post su IG, che trovi qui.
Ci saranno altri spazi per recensire il libro in oggetto, ma troviamo interessante dedicare un articolo sul blog a una piccola riflessione, partendo da questa frase di Eliade:
Il fuoco si rivela il mezzo per “fare più in fretta”, ma anche per fare qualcosa di diverso da ciò che esisteva già in Natura: esso era, dunque, la manifestazione di una forza magico-religiosa che poteva modificare il mondo e che, di conseguenza, non apparteneva a esso. È questa la ragione per cui già le culture più arcaiche immaginavano lo specialista del sacro – lo sciamano, l’uomo di medicina, il mago – come un “signore del fuoco”. La magia primitiva e lo sciamanismo implicano il “dominio del fuoco”, sia che l’uomo di medicina possa toccare impunemente la brace, sia invece che possa produrre nel proprio corpo un “calore interiore” che lo rende “cocente”, “ardente”, permettendogli di resistere al freddo estremo. – op. cit, p. 69
Bisognerebbe spendere fiumi di parole per spiegare in modo completo il valore storico e sociale del fuoco, e quanto abbia definito e contribuito alla formazione della società e della cultura umana. La civiltà umana è una civiltà del fuoco, e apprendere la sua manipolazione, una delle più rudimentali forme di tecnologia, ha definito il divario esistente fra noi e le altre specie animali – nessuna delle quali, ad oggi, è in grado di controllare il fuoco.
A questo elemento è sempre stato associato un duplice carattere: ctonio e celeste, demoniaco e divino, sinistro e salvifico. Un dualismo che è sotteso a tutto il suo simbolismo: il fuoco rappresenta la vitalità, la scintilla vitale che anima il corpo, fra gli elementi terreni è il sembiante dello Spirito che vivifica la Materia, poiché associato alla vita è il calore del corpo (almeno dalla prospettiva umana); ma al contempo è anche responsabile della distruzione delle forme, della consuzione del corpo e della natura, e della trasformazione, la quale può risolversi in molteplici modi, dalla raffinazione di ciò che è grezzo e basso, alla perdita di identità e coesione interna.
Non di meno, come afferma Eliade nel testo citato:
[…] il fuoco stesso era considerato il risultato (la “progenie”) di una unione sessuale: esso nasceva in seguito a un movimento di va e vieni (assimilato all’atto della copula) di una bacchetta (l’elemento maschile) in una incisione operata in un frammento di legno (l’elemento femminile). Questo simbolismo sessuale del fuoco è presente in numerose società arcaiche. Ma tutti questi termini sessuali traducono una concezione del cosmo fondata sulla ierogamia. – op. cit, p. 34
Una concezione che vede il fuoco fulcro centrale, al punto che talvolta è questo elemento posto all’origine stessa della nascita del mondo, sia per il suo valore illuminante che permette di differenziare una cosa dall’altra affinché il mondo sia “portato alla luce”; sia anche per il suo valore riscaldante e fecondante, che ritroviamo, talvolta, come amplesso fra due principi che precedono il tempo, e altre volte come un atto di auto-erotismo dal quale scaturisce la creazione. Alcuni potrebbero restare sorpresi dallo scoprire che quest’immagine, o questa concezione, della creazione come atto di auto-erotismo si ritrova sì nella mitica di Atum, ma è comune anche a un certo tipo di letteratura kabalistica che vede l’atto di manifestazione come un atto di espulsione dell’Essere dall’oceano della Non-Esistenza.
Oltre a questo valore creativo e divino, è interessante ricordare che il fuoco ha anche un valore distruttivo e sinistro: tutte le lavorazioni tecnologiche che permette (dalla cottura del cibo, alla forgiatura) si basano infatti sulla distruzione o sulla separazione di parti. Questa distruzione o separazione di alcune componenti può essere interpretata in più modi: da un lato come una rettifica o una purificazione della materia, raffinata attraverso la digestione con il fuoco; dall’altro lato come una vera e propria disgregazione che, come dice Eliade, “precipita il Tempo”, lo affretta e lo abbrevia, ottenendo effetti anzitempo o effetti altrimenti impossibili se nel ciclo naturale non intervenisse l’uomo con le sue lavorazioni fondate sul potere trasformativo del fuoco.
Torniamo al punto di partenza, all’inizio del nostro articolo:
Il fuoco si rivela il mezzo per “fare più in fretta”, ma anche per fare qualcosa di diverso da ciò che esisteva già in Natura: esso era, dunque, la manifestazione di una forza magico-religiosa che poteva modificare il mondo e che, di conseguenza, non apparteneva a esso.
Attraverso il fuoco, l’uomo produce effetti meravigliosi, contro natura nel senso che, se non fossero stimolati dal suo ingegno e dal fuoco, la natura mai li produrrebbe. In natura troviamo il ferro, ma non la spada. Troviamo la carne che si decompone, ma non lo stufato. Troviamo diversi metalli, ma non gli utensili con cui svolgere diverse mansioni e scoprire il mondo in un modo impossibile agli altri animali. Troviamo minuscole pagliuzze d’oro, in vene minerarie e fiumi, ma non i simboli della regalità della società umana e della religione. Troviamo il fulmine che fa divampare il fuoco, ma non il focolare addomesticato, al servizio della civiltà umana.
Non è un caso se spesso il fuoco è un segreto gelosamente custodito dagli Dei, e sottratto da un trickster che lo concede agli uomini subendo una severa punizione, o ancora rubato da un antenato coraggioso, che lo dona ai suoi discendenti e diventa l’eroe civilizzatore della società.
Non è un caso neanche il fatto che, per questa manipolazione e trasformazione che mette in atto sulla materia, il fuoco abbia attributi sinistri. In un’Europa post romana, medievale e rinascimentale, caratterizzata da un Cristianesimo sempre più opprimente e desideroso di controllo, le arti e i mestieri permessi dal fuoco (dalla forgiatura di armi e strumenti di uso quotidiano, all’alchimia intesa sia nel suo ruolo di mistica che di proto-medicina) sono stati progressivamente associati a un sinistro demoniaco che stimolava un desiderio inaccettabile: quello di impadronirsi del proprio destino e deciderlo al di fuori degli schemi religiosi della Chiesa, e di plasmarlo attraverso i propri strumenti interiori.
Soprattutto nel Rinascimento, il fuoco è diventato caratteristica del demoniaco, di quel Diavolo che offre agli uomini e alle donne un potere che si opponga a quello della Chiesa, per preservare sé stessi (e la propria comunità): la stregoneria. C’è bisogno di più spazio per definire cosa sia la stregoneria nel Medioevo e nel Rinascimento, e non desideriamo scendere nel dettaglio in questa sede. In questo caso, facciamo riferimento non soltanto a un insieme di tecniche magiche e saperi antichi, ma soprattutto a un sapere magico-medico legato all’erboristeria e basato, non meno di arti quali quella del fabbro, sul potere digestivo del fuoco.
Troviamo dunque estremamente interessante rileggere l’ultimo passaggio riportato da Eliade in una chiave che ci riguarda più da vicino.
La stregoneria è sempre una pratica liminale, condotta da uomini e donne che “stanno ai margini” della società umana, e a cui la società si rivolge suo malgrado per intervenire su un quotidiano che sfugge al loro potere. A differenza della magia, la stregoneria è definita – antropologicamente – come un insieme di tecniche magiche con carattere anti-sociale. Maghi sono gli astrologi e i teurghi. Strega è la donna dei filtri d’amore, stregone è l’uomo che uccide il bestiame o che assicura il raccolto. Mago è il matematico e il fisico, che comprende i segreti della natura secondo le sue leggi. Strega è la donna che, in un contesto che vede il martirio del dolore del parto come virtù necessaria, allevia il dolore della partoriente. Stregone è l’uomo che, contro i principi di civilizzazione, si muta in bestia per confondersi fra le bestie che caccia. Mago è colui che assicura il consolidarsi delle leggi degli uomini e della religione. Strega e stregone è colui che le infrange, sfruttando un potere alieno alla società umana per soddisfare sentimenti umani che, tuttavia, rischiano di disgregare la comunità: rabbia, desiderio, gelosia, amore, gratitudine, rimpianto.
E alla base della trasmissione della stregoneria in varie culture non è raro trovare spiriti ctoni o entità che potremmo genericamente definire “demoniache”, o sinistre. Con questo, siamo contrari a un certo tipo di visione contemporanea che vede il Diavolo come entità transculturale che trasmette l’iniziazione all’Arte, anche perché ci sono più modi di vivere l’Arte – si pensi anche solo alla distinzione antropologica fra magia e stregoneria, ma anche all’annosa diatriba fra Teurgia e Goezia.
Invece, è corretto vedere un “demoniaco” in carica della trasmissione di quel potere anti-sociale o contro-civilizzatore trasmesso alla strega e allo stregone: un potere che ruba il segreto del fuoco alla religione predominante, e lo riporta nelle mani dell’individuo; che sottrae il senso di comunità, e restituisce senso dell’individualità. Un “demoniaco” che spesso è associato alle regioni ctonie, ma ancor più all’aspetto sinistro e oscuro del fuoco, e che in questo è perfetta controparte di un uranico associato invece a un aspetto ritenuto legittimo e luminoso del potere del fuoco, dal quale discendono la civiltà umana e la religione nella loro funzione di coesione sociale.
Al “Signore del Fuoco”, come al fuoco stesso, possono essere attribuiti differenti valori: può essere divino o demoniaco. Esiste un fuoco celeste che scorre davanti al trono di Dio e un fuoco infernale che brucia nella Geenna. – op. cit, p. 94