Beltane: non solo una festa del fuoco
Dal nostro punto di vista, il Paganesimo, come termine ombrello per identificare un tipo di religiosità pre-cristiana diffusa in Europa, è un processo di restauro in continuo divenire. È un processo di riscoperta delle proprie radici arcaiche, ma anche di studio, di recupero di fonti antiche, di confronto con fonti (archeologiche, storiografiche, etnografiche) di un punto e l’altro d’Europa per poter recuperare frammenti di un dipinto più grande – quello delle feste, delle celebrazioni, delle ritualità e delle ragioni – che costituisce un patrimonio umano fondamentale, per quanto non sempre semplice da riportare alla luce e rimettere in atto.
Nel fare questo, ci si scontra con uno scoglio insormontabile, cioè l’interruzione, ad un certo punto della storia d’Europa, delle Tradizioni arcaiche, intese non solo come complesso di ritualità e celebrazioni, ma anche come usi e costumi sociali, caratterizzanti i diversi popoli vissuti in territorio Europeo.
L’altro scoglio, difficile da digerire per molti, ma ovvio sul piano della storia, è l’alterazione di queste tradizioni, ritualità, celebrazioni, usi e costumi, iniziato già con la caduta dell’Impero Romano, ad opera di un Cristianesimo incipiente che è stato impietoso verso la diversità. Eppure, secondo molti studiosi (ed è anche nostra opinione), qualcosa della vecchia Europa è restato, mutando per sopravvivere e abbigliandosi di altri abiti, più adatti ai nuovi tempi storici. Abiti forse più Cristiani, sotto i quali sono comunque rimasti vivi abitudini, usanze, credenze e ritualità da ascrivere a società agricole e pastorali. Perché, alla fine, società agricola e pastorale siamo restati, fino al XVIII secolo che, con l’inizio della Rivoluzione Industriale e l’Illuminismo, cambiò l’assetto non solo socio-economico, ma anche filosofico e culturale, ostacolando la sopravvivenza di ritualità agrarie e pastoriali, legate a un tipo di società che stava andando a scomparire e che, soprattutto, era visto come “arretrato” e dunque da modernizzare alla luce del “progresso”.
Un caso emblematico di questo tipo di processo è rappresentato da Beltane, una delle celebrazioni Gaeliche (Celtiche) più importanti, di cui abbiamo testimonianze fin dall’antichità e che sappiamo essere stato celebrato il 30 Aprile o il 1° Maggio, con variazioni di costumi ma in modo quasi ininterrotto, fino al XVIII secolo. Dopodiché, grazie ad alcuni folkloristi, fra cui anche Frazer, sappiamo che alcune usanze sono sopravvissute a livello di folklore locale, ma per la maggior parte private del loro senso arcaico.
Così come altre celebrazioni legate alla luce, al ciclo stagionale e solare, troviamo Beltane come specifica ritualità gaelica, assonante con altre festività diffuse su tutto il territorio europeo. Così come la divinità cardine della celebrazione, Beil/Belenus, in qualità di dio solare, del fuoco celeste, della luminosità e della fertilità, si ritrova in altre forme e con altri nomi (spesso imparentati) in varie zone d’influsso Indo-Europeo, facendo parte di un complesso di “dei solari”, maschili e femminili, legati a questi stessi concetti.
Questo anche per sottolineare che la massima attenzione deve essere prestata a comprendere che esiste una grossa differenza fra il recupero di Beltane come specifica festività celtica, e il recupero di altre festività solari e legate al fuoco celebrate nello stesso periodo, ma presso altre zone d’Europa. Ovvero, la necessità di tracciare parallelismi per comprendere il quadro in cui Beltane si inserisce non può essere sostituita dalla pigrizia intellettuale del non ricercare altri nomi e dinamiche rituali, attestati localmente nei vari punti dell’Europa, che identificavano festività simili per periodo e per senso generale, e al contempo profondamente diverse – come profondamente diverse sono le varie culture che hanno interessato il continente Europeo.
Beltane rappresenta, nel mondo gaelico, l’apice della stagione primaverile, che da quel momento si trasforma inesorabilmente in estate (per questo un antico nome di Beltane era Cétshamain, ovvero prima estate; nome che non ha il senso di individuare Beltane come “Samhain primaverile”, come abbiamo sentito affermare). Per questa ragione era grossomodo celebrato fra l’Equinozio di Primavera e il Solstizio d’Estate. Questo è il senso più profondo della celebrazione: testimoniare che ormai l’inverno è parte del passato, non può tornare, e celebrare questo distacco, attraverso un tipico esempio di crisi stagionale nella quale si ridefiniscono le priorità della società (ora i campi e il bestiame) e si ridà forza ai ruoli, attraverso riti di protezione, purificazione e propiziazione.
La più antica menzione di Beltane risale al IX secolo d.C., nel Sanas Cormaic (Glossario di Cormac) redatto da Cormac mac Cuillennáin, vescovo Irlandese e re di Munster, quando la cristianizzazione dell’Irlanda era ormai avanzata per circa cinque secoli, dando origine a quella specifica forma di Cristianesimo denominato “celtico”, frutto di una commistione unica di elementi pagani e cristiani. Si tratta di un fenomeno senza eguali che, a differenza di quanto accadde in altre zone d’Europa, aiutò a preservare, fino a epoca relativa recente, usanze pagane.
Attraverso il Sanas Cormaicsappiamo che arrivarono fino al XVIII alcuni elementi caratteristici del Beltane arcaico, fra cui l’aggregazione attorno al fuoco, la condivisione di cibo, il valore purificatorio e protettivo. Irrimediabilmente perso è, invece, l’originario valore druidico, per il quale è necessario un più ampio lavoro di ricerca e confronto.
L’etimologia del nome Beltane può in questo senso fornire molte informazioni. Lo ritroviamo simile, con variazioni locali, in tutta l’area gaelica: era chiamato Lá Bealtaine in Irlanda; Là Bealltainn in Scozia; e il più antico nome Gaelico Beloteniâ Beltaine, che viene oggi tradotto come fuoco fortunato (o della fortuna).
Una delle etimologie oggi più accreditate è quella che vede Beltane significare fuoco di Beal, cioè di Belenus. Il suo culto fu diffuso in tutta l’area di influenza celtica, al punto che uno dei luoghi più importanti per la sua venerazione era in Italia ad Aquileia, città della quale era divinità patrona. Si tratta di una divinità solare, come chiariscono i molti epiteti relativi alla brillantezza e i tratti che condivide con Apollo, con il quale viene spesso confrontato. Troviamo il suo nome scritto in molti modi nelle fonti epigrafiche: Belenus, Belinus, Bellenus, Belanus, Belin, e anche Beil o Beal, tuttavia l’etimologia del suo nome resta a oggi incerta. La teoria favorita vede il nome derivante dalla radice Proto Indo-Europea *bhel, cioè brillare, che è assonante con i suoi appellativi e lo classifica fra le divinità che fanno parte del complesso degli dei solari della Proto Indo-Europa.
Tuttavia, un’etimologia alternativa è quella dal Proto-Celtico *Guelenos, che significa fonte o pozzo, e che potrebbe essere assonante con la visita rituale alle sorgenti e ai pozzi sacri che caratterizzava la celebrazione di Beltane. Ci si recava presso tali luoghi per pregare di ricevere benedizioni e buona sorte, e si camminava in senso antiorario attorno ai pozzi, lasciando in offerta monete e nastri, e prendendo acqua ritenuta medicamentosa o benedetta.
Per quanto restino ancora oggi discussi i paralleli rintracciati fra Belenus e Apollo – perché i simboli e i significati di cui si vestono le divinità solari sono grossomodo sempre gli stessi, per ragioni di osservazione della natura, piuttosto che per reale parentela fra le personificazioni culturali – è dal nostro punto di vista interessante notare come ci sia un elemento in particolare a collegare queste due divinità. Si tratta del giusquiamo nero, di cui i Druidi sembra facessero ampio uso, e che era chiamato Belenuntia o Bellinuncium, e dunque correlato a Belenus; mentre nel mondo Latino era chiamato Apollinaris herba, cioè erba di Apollo, a cui era sacro. In entrambi i casi troviamo quindi le due divinità associate al giusquiamo nero, le cui proprietà psicoattive (sedative, narcotiche e allucinogene, per il contenuto di scopolamina) potrebbero essere alla base del furore, dell’ispirazione e dell’arte della mantica che si riteneva derivassero da Belenus e Apollo.
Mentre il palo di Maggio come elemento centrale delle celebrazioni di Beltane è in realtà una tradizione tarda, che non compare prima del XIV secolo, e tutt’altro che centrale nella festività, per altro con riferimenti storici insufficienti, è molto più probabile (e di certo meglio attestata) la centralità del fuoco come elemento purificatorio e protettivo.
Sappiamo, per esempio, che era necessario che tutte le candele, i focolari e le luci fossero spente, prima che venissero accesi i falò sulle colline. E che questi fuochi erano accesi attraverso scintille derivate da frizione, il tipo di fiamma che ne scaturiva era infatti considerato il più sacro. A Beltane, inoltre, nessun poteva prestare fuoco ai vicini per accendere il loro focolare: era credenza diffusa che, in questo modo, il proprietario originario della fiamma avrebbe continuato ad avere potere sul nuovo fuoco, potendo decretare la rovina dell’abitazione e della famiglia. Questa credenza sopravvisse a lungo, fin oltre il XVIII secolo, ed esiste anche testimonianza di un processo a una donna che, in virtù dell’infrazione di tale norma, venne accusata di stregoneria.
Ai fuochi di Beltane erano attribuite importanti qualità purificatorie e protettive. Tutti i capi di bestiame erano condotti attraverso due fuochi, simboleggiando in tal modo l’uscita definitiva dall’inverno e lo spostamento verso l’estate, verso i pascoli estivi. Tale gesto aveva un particolare valore protettivo, e si riteneva in grado di allontanare tutti i pericoli fisici e sovrannaturali.
Le persone erano invitate a fare lo stesso, passando fra i fuochi, o saltando i falò, per essere purificati, e perché buona sorte, prosperità e benedizioni fossero dispensati su di loro.
I resti di cenere dei fuochi erano sparsi sui campi, sul bestiame, in cerchio attorno alle case, addirittura sul capo delle persone, di nuovo per simboleggiare protezione e purificazione. Alla cenere dunque era attribuita la stessa sacralità dei fuochi e non di rado alcune erano portate fino ai focolari domestici, perché le benedizioni e la protezione si estendessero all’abitazione e alla famiglia, e al nuovo fuoco domestico acceso il giorno seguente.
La convivialità era un momento centrale delle celebrazioni, come accade in molte altre festività. È forse il riflesso di rituali di sacrificio cruenti operati in epoca più antica, e poi sostituiti dal cucinare agnello, pane di avena e altro cibo, sugli stessi fuochi sacri. Il pane d’avena in particolare veniva preparato con nove protuberanze, simboleggiando in questo modo le nove divinità celtiche più importanti, ma questa forma venne sostituita, con la cristianizzazione, da una croce.
Sappiamo di diverse usanze sopravvissute che riguardano proprio questo pane d’avena, detto bonnach beltuinn. La più interessante vede la forma tagliata a pezzi, con un pezzo sporcato della cenere di un fuoco. I presenti devono dunque estrarre a sorte un pezzo e chi trova quello sporcato di cenere deve saltare il fuoco per tre volte, o gettare il pezzo nel fuoco senza mangiarne. Questa usanza viene interpretata come la sopravvivenza di una ritualità più antica nella quale era previsto un sacrificio cruento, di uomini o animali, per mezzo del fuoco – della quale, però, non sono ancora certe le attestazioni.
Un’usanza simile è quella di far rotolare le forme di pane, che hanno forma di disco, giù per le pendici della collina su cui è stato acceso il fuoco: se la forma si fosse fermata con la croce verso il suolo, avrebbe significato sfortuna e malattia nella prossima estate, mentre per quanti la croce fosse stata rivolta al cielo ci sarebbero state fortuna e buona salute. Questa abitudine folkloristica sopravvisse oltre il XVIII secolo, ripetuta dai bambini anno dopo anno il 1° Maggio, anche quando aveva ormai perso il suo collegamento con le celebrazioni di Beltane.
Oltre all’acqua dei pozzi e delle fonti sacre, che si visitavano per ottenere protezione e benedizioni, e per prelevare acqua ritenuta sacra, anche alla rugiada raccolta all’alba di Beltane si attribuivano virtù magiche. Le giovani la raccoglievano e conservavano, passandola sulla pelle o ingerendola, per restare giovani, belle e seducenti.
Nella stregoneria europea, ancora sopravvivono pratiche simili.
Fra le usanze più recenti, vi è la decorazione di cortili, soglie, finestre e porte con fiori gialli e bianchi, simbolo del potere solare.
Si decoravano anche cespugli o rami di piante spinose, quali il biancospino, il prugnolo e l’agrifoglio, ma anche di sicomoro o il sorbo, appendendovi conchiglie, pietruzze brillanti, fiori, nastri e giunchi imbevuti di cera (usati come piccole candele). Questi cespugli o rami venivano poi bruciati (sacrificati?) nei fuochi di Beltane, come simbolo di protezione e prosperità. Infatti, a seconda della zona di riferimento, è ritenuto che queste piante portino fortuna o sfortuna, ma si ritengono soprattutto correlate agli aes sídhe, al Piccolo Popolo, agli elfi e alle fate, che nel periodo di Beltane erano particolarmente attivi. Decorare i loro alberi poteva dunque avere significato di compiacerli o, nel caso in cui poi fossero bruciati, di scacciarli. Per ragioni simili era usanza versare libagioni e lasciar loro offerte di cibo (soprattutto latte e pane d’avena) presso i luoghi dove si diceva abitassero: ai piedi di quegli stessi alberi, nei cerchi o recinti di pietre residuo di costruzioni precedenti, nelle radure nel bosco. Ma si versava latte anche sulle soglie delle case, per compiacere e placare gli spiriti del luogo, del sottosuolo e quelli che abitavano nella casa.
Infine, vogliamo chiudere questo articolo con una canzone riportata dal folklorista Alexander Carmichael nel XIX secolo, a cui è stato dato il nome di La benedizione di Beltane:
Benedici, o dio trino vero e magnificente,
me, la mia sposa e il mio bambino,
il mio tenero bambino e la sua amorevole madre [benedicili] sul loro capo,
nella pianura profumata, presso l’allegro monte,
nella pianura profumata, presso l’allegro monte.
Tutto ciò che è nella mia dimora o in mio possesso,
tutte le mie vacche e i capi, le greggi e i cereali,
dalla vigilia di Samhain alla vigilia di Beltaine,
[benedicili] con il buon corso delle cose e benedizioni gentili,
da mare a mare, e da ogni foce del fiume,
da onda a onda, e da ogni salto di cascata.