Medusa: una ricontestualizzazione del mito
Era il 2008 quando Luciano Garbati, artista italo-brasiliano, pubblicava sui social la sua statua di “Medusa con la testa di Perseo”. Quella statua famosa, di cui una replica in bronzo ora si trova al Collect Pond Park di New York. Quella statua famosa, che è diventata emblema del movimento #metoo, promosso da associazioni femministe (che femministe lo sono davvero) e che si occupa di denunciare situazioni si abuso di vario genere, sessuale e psico-emotivo, ai danni di uomini e donne.
Luciano Garbati, per sua stessa ammissione, ha avuto l’idea di questa statua trovando ingiusto il ritratto che la mitologia fa di Medusa, che si trova letteralmente condannata da Atena prima a divenire un mostro orribile e poi a essere uccisa da Perseo, e che poi incontra la morte proprio per mano di quest’ultimo, che dona la testa della Gorgone proprio ad Atena. Tutta la storia inizia con Medusa violentata da Poseidone all’interno del tempio di Atena.
Nel mondo moderno, non è difficile leggere il mito e vederlo come “Atena è una stronza”, “Medusa è la vittima che, oltre ad aver subito una violenza, viene pure punita e poi uccisa per qualcosa di cui effettivamente non ha colpa” e “Perseo è l’emblema dell’uomo che punisce la donna perché è stata violentata”. Non è sbagliato – con la mentalità moderna – vedere nel mito una forma estrema di colpevolizzazione della vittima.
Come abbiamo già scritto in un altro post comparso su Facebook, ci sono due versioni del mito di Medusa, che non è dunque ristretto alla sola storia in cui lei nasce umana e mortale, e per sua sfortuna bellissima, al punto da attrarre la gelosia di molte donne e il desiderio di Poseidone. Questa versione è riportata in modo dettagliato da Ovidio nelle sue Metamorfosi, e in forme meno complete anche da Esiodo e Apollodoro.
Una seconda versione è invece riportata da Eschilo, Pausania e Nonno, e vede Medusa nascere immortale perché figlia di Forco e Ceto. In questa versione, esattamente come le sorelle Steno ed Euriale, non solo è immortale, ma nasce proprio “gorgone”, cioè è già in possesso di mani di bronzo, capelli di serpenti e ali dorate a lato del capo. Non si tratta dunque di una punizione e questa descrizione, la più arcaica, ritrae le Gorgoni come creature orribili, capaci di incutere profondo terrore. La loro rappresentazione non si rintraccia soltanto nel mito, ma anche come maschere, pitture, rilievi, posti a protezione di templi e case private, in qualità di amuleti apotropaici – ovvero protettivi e capaci di scacciare il male (e, nel caso dei templi, di tenere lontani i profani perché non potessero violare i Misteri).
La mitologia greca è fatta di paradossi e storie intrecciate, spesso con elementi completamente opposti o confusi al punto da rendere il mito inintelligibile. Ciò dipende dai profondi cambiamenti che la società greca incontrò nei secoli, con l’avvicendarsi di culture che presero il potere, culture che scomparvero, culture che contaminarono o vennero contaminate – anche solo per via dei grandi traffici commerciali e delle conquiste. Non deve dunque stupire che i miti variassero di zona in zona e di epoca in epoca, a volte cambiando completamente.
Quello che dovremmo fare noi, approcciandosi alla mitologia di qualunque popolo, è porci con distacco, osservare, catalogare i miti, leggerli, rintracciare i legami, la stratificazione delle storie a seconda del tempo e delle influenze, e cercare di contestualizzarli al meglio i base all’epoca storica e alle informazioni in nostro possesso su società, cultura e religiosità dai quali hanno avuto origine. È sciocco cercare di dare insistentemente riletture moderne: il mito è sempre figlio del proprio tempo e della propria cultura, e al variare della seconda il suo significato può cambiare in modo diametrale. Proprio per questo è necessario estraniarsi dalla società contemporanea, sospendere il giudizio.
È anche ovvio che il mito ha sempre un valore universale ed è dunque normale che l’uomo contemporaneo che non si occupi di antropologia, archeologia, storia delle religioni, esoterismo (etc.) è portato a contestualizzarlo nell’epoca in cui vive e leggerlo in base ai problemi che affronta, o a interpretarlo in funzione alle questioni sociali delle quali sente parte o testimone. Da questa tendenza “profana” deriva la lettura del mito di Medusa come la vittima colpevolizzata – cosa che è a tutti gli effetti, per quanto non si possa negare che questa versione del suo mito è in realtà la più recente.
La versione più antica, che è quella di Nonno, Eschilo e Pausania, può comunque sembrare ingiusta, poiché dipinge una stirpe di creature orribili dalle sembianze di donna. Tuttavia, non ha niente a che fare con il “body shaming” o l’insulto al genere femminile, anche perché nella mitologia greca va male un po’ a tutti, che siano belli, che siano brutti, che siano uomini o donne: i mitografi hanno una parola buona e un insulto ad hoc per chiunque (vedi Efesto che, nonostante sia un Olimpico, è continuamente cornuto e mazziato, e pure zoppo; oppure il Minotauro; oppure Tifeo, che oltre a essere orribile, è pure fra i nemici più temuti da Zeus). Non è che ci sia proprio tutto questo sessismo, a guardare la mitologia greca si evince facilmente che fanno schifo tutti, sono tutti stronzi e, che tu sia uomo o che tu sia donna (o che tu sia mucca), è possibile che farai una brutta fine o che qualcuno vorrà ucciderti per un non-torto, per quello che lui/lei riterrà tale… o anche solo perché respiri.
Battute a parte, il punto della mitologia greca è spiegare l’inspiegabile, ovvero la molteplicità di eventi, spesso paradossali e irrazionali, che colpiscono di continuo la vita dei mortali. E di conseguenza, le divinità sono capricciose, lunatiche, viziose, predisposte ai cambi di idea e alla malignità, e spesso non così giuste ed obiettive nei loro giudizi.
Ma il ritratto delle gorgoni arcaiche non ha neanche a che fare con la necessità di spiegare l’inspiegabile. L’idea che una maschera orrorifica venga posta a guardia dei Misteri e delle case private, come amuleto apotropaico, è vecchia come il mondo. Per analogia, come ciò che è orribile per l’uomo lo spaventa e lo tiene lontano, allo stesso modo l’orrore terrà lontano anche il male e gli Spiriti.
Per altro, a supporto di questa teoria – delle Gorgoni come antichissime maschere profilattiche – vi è proprio il significato del nome di Medusa, che significherebbe “guardiana” o “protettrice” (laddove, invece, “gorgon” significa “terribile”). E vi è inoltre una miriade di rappresentazioni di “teste di Gorgone”, che prendono il nome di gorgoneion, che anticamente erano poste come frontoni o antefisse nei templi. E se una tale rappresentazione non fosse stata considerata sacra, non sarebbe stata posta in tale ruolo, ma anzi la ritroveremmo in contesti ben più triviali, per essere esorcizzata.
Da esoteristi, poi, dovremmo leggere il mito della Gorgone – nello specifico di Medusa decapitata da Perseo – come un mito relativo all’Iniziazione dell’Eroe, che avviene attraverso il superamento di una prova impossibile costata la vita a molti altri mortali. Per altro, quando Perseo uccide Medusa, Persefone la pone a guardia degli Inferi, riconfermando in tal modo la natura liminale della Gorgone e il suo ruolo di guardiana e protettrice.
Ci rendiamo conto che questo articolo può essere fraintendibile, perché potrebbe sembrare un tentativo di giustificazione di un mito che – siamo d’accordo – nella sua versione più moderna non trasmette un buon messaggio.
Riteniamo però che sia importante analizzare i miti nella loro interezza e alla luce di tutta la loro evoluzione, sforzarsi di comprenderli su più livelli e non fermarsi a una visione superficiale che in qualche modo li mutila, eliminando quelle parti simbolicamente importanti per capire il significato di una figura, il suo ruolo e il senso del mito stesso nel quale compare.
Da sottolineare è anche che l’esoterismo non sempre incorpora i miti e i simboli per il loro significato morale, ma anzi cerca di trascendere tale valore per approcciare quello Iniziatico e trascendente. Per cui bisogna sempre muoversi su più livelli di analisi e capire quando è il momento di valorizzarne una, piuttosto che un’altra. Anche in questo risiede la difficoltà di un approccio esoterico serio: la capacità di guardare oltre la propria morale e capire la mitologia per il messaggio che vuole trasmettere, smettendo di filtrare tutto esclusivamente attraverso la propria ottica; e al contempo operare un’attenta astrazione del simbolo da qualsiasi contesto per renderlo universale al punto da trasformarlo in un mezzo per comunicare idee altrettanto universali.