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Astrale e materialità: sfatiamo un mito

Quando parliamo dell’enorme importanza della materialità nel Rito, vediamo in tante persone la tendenza a voler porre un maggiore accento sulle componenti “sottili” della performance (la Volontà, la capacità di entrare in contatto e dirigere forze trascendenti, il beneplacito di Dei e Spiriti, etc) e sull’astrale.

La questione “astrale” però è più articolata di quello che può sembrare a prima vista, a partire al fatto che molti parlano di “astrale” senza dare una qualifica più specifica a eventuali tecniche – e questo, secondo noi, denota l’incapacità di fondo di definire a cosa effettivamente si stanno riferendo.

L’astrale… o meglio, la “proiezione astrale” non è un modo per compiere rituali con la forza del pensiero, né una tecnica che si possa applicare in maniera scevra da altre pratiche materiali: è un corollario del rituale “cerimoniale”.

Infatti, così come è per lo più conosciuta modernamente la proiezione astrale e la stessa definizione di “piano astrale” o “mondo astrale” è una derivazione della speculazione filosofica della Tradizione Magica Occidentale, e un condensato di elementi distillati soprattutto ad opera di alcuni ordini esoterici – fra cui, in testa, la Golden Dawn.

Dunque queste concezioni sono funzionali ed espresse in maniera completa esclusivamente all’interno di questi contesti.
La Golden Dawn forniva ai suoi membri un precisissimo protocollo da seguire per iniziare a sperimentare il viaggio nel piano astrale.
Un protocollo che non partiva dalla proiezione di un corpo sottile in tale piano, ma da una profonda analisi psicologica e bilanciamento delle proprie componenti emotive e psichiche, dallo studio del Rito e del Simbolo e poi dall’applicazione di tutto questo all’esplorazione dei mondi dell’astrale.

Infatti la tecnica non nasce per compiere rituali nel “mondo della formazione” (in effetti, sarebbe fondamentale discernere in partenza se con astrale ci si riferisce alle sfere celesti, o a qualcosa di più simile al valore che Yetzirah ha nella Kabbalah), ma al fine dell’indagine della catena delle corrispondenze, dei Simboli e per una riesamina del lavoro rituale compiuto, che attraverso il viaggio in un mondo astrale simbolicamente correlato potesse scomporlo e destrutturarlo per meglio comprenderne la natura e gli effetti.

Ovviamente, se andiamo a considerare lo sviluppo dell’Arte nella storia, troviamo esperienze che potrebbero essere correlate al viaggio astrale e alle tecniche di proiezione astrale, ma non per questo tali esperienze sono perfettamente equivalenti.
Facciamo riferimento per esempio al viaggio sciamanico, alla trance estatica, all’esperienza del sabba onirico della stregoneria, e alle tante forme che assumono le esperienze e tecniche estatiche.
Raggruppare tutto sotto il concetto di “astrale”, “viaggio astrale” e “proiezione astrale” denota una notevole improprietà di linguaggio e superficialità d’approccio a queste tecniche, che sono tutte profondamente differenti nei loro presupposti, utilizzi e manifestazioni (sia culturali, che individuali, neurologiche e fisiologiche).

La concezione dell’astrale come luogo metafisico in cui compiere rituali nasce nei anni ’90 nei forum di esoterismo dove (grazie all’impatto delle filosofie orientali mal comprese e della New Age) si radica una corrente di pensiero (che già si trova nella cultura occidentale grazie al Cristianesimo) per la quale il binomio Materia/cattiva-Spirito/buono viene esasperato all’estremo.

Proprio in quei forum (che forse molti di voi hanno la fortuna di non ricordare o di non aver mai visitato) il viaggio astrale viene trasformato da un corollario a una tecnica principe, ritenuta fighissima e potentitissima, utile a praticare magia anche per la figlia di genitori cristianissimi che se le beccano un libro di Wicca diventa una tragedia.
In pratica, l’astrale inizia ad essere venduto come la soluzione semplice e immediata a problemi quali l’impossibilità di detenere libri, oggetti di culto, praticare la magia o una religione pagana: tutto questo non ha importanza, basta che impari a proiettarti nell’astrale e fai qualunque cosa lì, dalla meditazione al rito per far innamorare il tipello.

Si stavano gettando le basi di quello che poi è stato chiamato “daydreaming” e di cui abbiamo – negli ultimi anni – avuto inquietanti esempi grazie a TikTok e allo shifting.

Il problema, come al solito, è che tanto il daydreaming quanto la pratica dell’Arte fuori controllo – cioè priva di un sistema strutturato e strutturante, che congiunga Spirito e Materia, corpo e anima – il passo verso il perdersi in fantasticherie (fino a indursi problemi psicologici di vario genere) è fin troppo breve.
Poiché l’Arte coinvolge anche il subconscio e le tecniche magiche sono sempre una comunicazione “triangolata” fra praticante, Spiriti/Divinità/etc e subconscio, già normalmente pensare che la magia non influisca sulle componenti psicologiche, consce o subconsce che siano, è una pia illusione… ma lo è ancora di più pensare di non subire delle conseguenze quando si sradica l’agire rituale dalla materialità che permette al Rito di esprimersi attraverso Simboli incorporati in oggetti, corpi, movimenti, parole, etc. Togliendo la materia dall’equazione e usando esclusivamente la mente del praticante tutti questi Simboli non potranno che incorporarsi nella sua capacità immaginativa e infondersi nel suo subconscio. Se crediamo alla magia, crediamo anche che tali Simboli, opportunamente sollecitati, portano con sé un potere: indovinate dove questo si “scarica” a quel punto? Nel subconscio, e non prenderà mai forma nel mondo materiale – perché non ha un aggancio materico per farlo.

La base del Rito magico è sempre quella ovunque si va nel mondo: il Rito si avvale di Simboli per ripercorrere il Mito, e questo viene espresso in maniera “olistica” cioè coinvolgendo corpo, mente e spirito, avvalendosi dell’individuo, della comunità, della materia, della parola, del pensiero, del gesto, e di tutto ciò che compone la Cultura umana in cui tale Rito è espresso.

Per altro, il Rito (se ben compiuto) è sempre profondamente immersivo e impattante su ogni livello dell’essere.

E poi – cavolo! – basta confondere astrale, sogni lucidi, viaggi sciamanici e meditazione: non servono le neuroscienze e lo studio delle alterazioni che queste tecniche provocano nell’organismo, per capire che si tratta di tipi di esperienza e tecnica diversi. Sarebbe sufficiente studiare, capire e ascoltare i cambiamenti nel proprio corpo quali li si pratica, per capire che non sono la stessa cosa.
Non ci stancheremo mai di ripetere che la pratica, a fianco dell’approfondimento teorico, è fondamentale per non prendere sviste, padroneggiare quello che si sta facendo e imparare a mettere in prospettiva le nozioni teoriche.

Alla luce di questo, ci sentiamo di lasciare qui un consiglio che, speriamo, possa essere fonte di riflessione:

a volte la via che sembra più facile in realtà è quella più ingannevole.

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